martedì, luglio 30, 2019

E LA LUNA BUSSO'

sottofondo: Outside (demo version) _ Idols for Ideals

Finora avevo vissuto nella foresteria sopra un locale. Mi era capitata quest'occasione tempo prima, avevo fatto dei lavori per i proprietari ed un giorno, mentre cercavo una nuova sistemazione, incontrai uno di loro che mi propose di trasferirmi lì per un pò. "è una cosa temporanea, però ti darà tempo e tranquillità per cercare qualcosa di meglio. devi solo dare una sistemata, è un pò che non la usiamo..è sempre stata un magazzino, ma ci sono un bagno attrezzato ed un paio di letti".
Non ci pensai poi molto. Tre giorni dopo ero lì, in quello che mi sembrava un buon inizio.
Avevo dato una ripulita, sistemato piccole cose nel bagno, spostato un pò di ciarpame. insomma, la mia nuova dimora era pronta. Il locale si trovava quasi in campagna, quindi mi ero reso conto immediatamente di aver guadagnato non solo un alloggio, ma una porzione di pace.
Le prime settimane trascorrevano felici, a svegliarmi con il cinguettìo degli uccelli, l'acqua degli irrigatori, il mio fido gallo starato. Si, starato poveretto. Gastone (così lo chiamavo) dava la sua miglior sveglia in un orario compreso tra le 6 e mezzodì. Con un urlo strozzato che poteva ricordare il clacson di un camion così come la corda straziata di un violino scordato.
Avevo anche la compagnia di Enrichetto, un topo molto obeso che incontravo ogni tanto, di notte, intento a fingersi scoiattolo sui rami di un albero davanti al balcone. Finivo di fumare la mia sigaretta, mentre sorridevo guardando i rami piegarsi sotto la sua mole surreale. Ma il figlio di puttana sapeva il fatto suo, arrivava dove doveva.
Dicevo insomma la vita procedeva tranquillamente con le nostre routine.. ognuno faceva il suo, a me toccavano un pò di pulizie, il giardino che avevo iniziato a curare, un accenno di orto che a fatica facevo partire, e alla fine di ogni serata controllare che tutto il locale fosse chiuso e spente luci, gas, acqua e quanto possibilmente fosse stato usato.
L'estate era arrivata improvvisa, prepotente, quasi nessuno se ne era accorto. Fu una sera estiva, una di quelle in cui fare tardi nel giardino del pub a chiacchierare con alcuni clienti abituali non poteva pesare perchè godevo del fresco dell'ambiente campestre. Il piccolo appartamento in cui sarei dovuto salire a dormire mi respingeva con la sua muraglia bollente. Un'afa davvero intollerabile che prima o poi, come le altre sere, avrei dovuto affrontare. Salutai al cancello i pochi rimasti, portai fuori la spazzatura, chiusi il lucchetto, passai dalla cucina a prendere acqua fresca e spegnere tutto. Salivo le scale a fatica, percepivo la temperatura salire ad ogni gradino.
Era una notte di metà Luglio, mi ricordo principalmente perchè doveva esserci un'eclissi parziale di luna. Proprio questo pensiero dell'eclissi mi diede un pò di speranza: se non fossi riuscito a dormire, almeno avrei goduto di uno spettacolo come quello piuttosto che fondermi il cervello stanco davanti ad un monitor, caldo anch'esso. Come da fottuto copione, iniziai un ballo di San Vito sulle lenzuola, mi dimenavo cercando una superficie non bollente senza ovviamente alcun risultato. Mi alzai, rollai l'ennesima sigaretta ed uscii in balcone, percorrendolo fino in fondo per avere una visuale migliore, più ampia, ed evitare alcuni lampioni che dalla strada avrebbero compromesso la visione. La luna era in ombra, lentamente veniva coperta dall'ingombro del nostro pianeta. Mi sentii di nuovo parte di qualcosa di naturalmente sorprendente, alle spalle avevo un Sole che non potevo vedere che stava proiettando ombre sulla Luna,inclusa la mia, per nasconderla in un infantile gioco di gelosia che coinvolgeva un pianeta intero.
Mio nonno avrebbe tranquillamente detto che quei fottuti yankee meritavano di perdersi anche questo spettacolo. Che sagoma il nonno. Aveva combattuto al loro fianco durante la liberazione, ma aver perso quasi del tutto l'udito per colpa di una granata non doveva avergli lasciato una sensazione proprio positiva al riguardo. Mi accorsi poco dopo che anche Enrichetto era salito a vedere lo spettacolo. Era ormeggiato all'angolo sotto la ringhiera, scappò non appena ciccai la sigaretta a terra. Alzavo lo sguardo ad intermittenza perchè attendevo il mio momento preferito, il sorriso sornione dello Stregatto. Dai, non ditemi che sono l'unico ad essere rimasto folgorato da questa immagine fatata. Sempre detto, Carroll era un altro fattone visionario che ha reso pop un viaggio lisergico.
Dopo minuti passati a rispondere al sorriso in cielo, decisi che era arrivato il momento di dormire.
Caldo, cazzo che caldo. zzzz. zzzz. zz. In piedi, come un marine, cospargersi di repellente per zanzare.
Frrr. frrr.fr. Torcia accesa soldato. Una falena gialla passava per le mie orecchie. ok.
Buio in camerata. Tuk. Tu tuk. tuk tuk tuk. Torcia. Una libellula. Giuro, una libellula con evidenti problemi al GPS stava dando ripetute craniate a qualsiasi ostacolo fosse presente in stanza. Ma con quale eleganza, la stronza.
Convinto di aver visto tutto il visibile per la notte, sorridendo inebetito, mi rimisi a letto.
Toc toc. delicato.
Una finta parete di alluminio anodizzato e vetri mi divideva dall'ambiente accanto, uno stanzone con camino e mille sedie e tavoli impilati. Alla parete erano poggiati in piedi svariati materassi coperti da un tendaggio. In questo divisorio una piccola finestrella scorrevole - servita forse in passato come passadocumenti da ufficio ad ufficio - era chiusa con uno spessorino all'altezza del mio letto.
Toc toc.
Pensai che qualcuno potesse esser rimasto a dormire, dimenticandosi di dirmelo. Più probabilmente il vento aveva fatto schioccare la tenda un paio di volte. Forse rumori di assestamento strutturale. Forse la libellula aveva trovato uno scopo per la notte, forare una parete.
Toc toc.
Inspirare profondamente, accendere la torcia per la settordicesima volta, impugnare un mezzo manico di scopa come deterrente per ladri (come se i ladri avessero bisogno di passare dalla parete tra i materassi e bussare preventivamente), decidere di aprire la finestrella di scatto.
Sfilai lo spessore - consistente in un coltello da cucina spezzato - ed aprii.
Un buio tangibile quasi nebbioso invase l'aria intorno a me, come una boccata di fumo denso si concentra sulla colonna di luce di una lampada. La sensazione era quella di aver aperto lo sportello di un'astronave, mi aspettavo di vedere parte dei materassi e del camino ma vedevo solo lo spazio nero senza stelle.
"Ciao Stefano" disse una testa sbucata all'improvviso nel buio.
Una testa rossa riccia mi aveva salutato. Pensandoci meglio, una faccia bianchissima da trucco con le gote molto rosse sotto una parrucca arancione rossiccia e dei denti enormi bianchissimi anche loro, mi aveva salutato. Per nome.
Non avevo mai avuto problemi con i clown, ma date le circostanze, per usare un'espressione da aristocrazia francese, mi cacai sotto come raramente mi era capitato nella vita. Mi allontanai dal letto di scatto, pietrificato. Lui mi sorrideva.
Dov'era il resto del corpo? Come faceva a stare in piedi ad una finestra alta poco più di un metro da terra? Perchè sapeva il mio nome? Cosa cazzo voleva un clown da me nel mezzo di una notte d'estate? Tutti pensieri e quesiti nati e morti in un istante di terrore puro.
"Rispondere a chi saluta è semplice educazione" disse la testa sorridente e fluttuante nel buio.
"ehm..ciao..chi sei? che ci fai lì?"
"sono passato a prenderti. non mi riconosci perchè è passato tanto tempo, ma ci siamo incontrati altre volte durante la tua vita. ti ho chiesto di venire con me in altre occasioni, ma ogni volta c'è stato qualche impedimento o tu non eri pronto. ho pensato di provare anche stavolta. se ti è comodo, puoi chiamarmi Edmond"
Edmond. Edmond lacazzoditestadiunclownnellaparete è venuto a prendermi. tra l'altro ci conosciamo già,dice, quindi quale sarebbe il problema?! certo.
"ehm..Edmond..io non mi ricordo. questa cosa.. sei sbucato dal nulla assoluto e.."
"sei terrorizzato, è normale. perchè hai rimosso alcuni ricordi. e perchè il senso del controllo ti dice che tutto questo è fuori luogo. in passato ci sono stati ostacoli diversi, ma non avevi tutta questa paura, come non avevi tutte queste responsabilità".
Disse tutte queste responsabilità con un tono sarcastico quasi. un sorriso tonale appena accennato, non maligno ma affilatissimo.
"vieni.andiamo adesso."
"ma dove?"
"il luogo non è importante. il nome non è importante. conta che tu ci sia"
"ma io.."
"si, tu. basta ma."
Diedi uno sguardo al suo sguardo, i suoi occhi in effetti mi erano familiari, gialli come |Crema di materia gialla che gocciola dall'occhio di un cane morto| rende l'idea. ma non maligni. avevano qualcosa di canino che gli forniva un'aria dimessa e leale. però.
"i però fanno perdere il focus. ed il tempo ci passa sopra in ogni caso."
"si, l'ho capito."
I secondi successivi sembrarono eterni, guardavo ai lati e tornavo su di lui, guardavo una diagonale ma lo tenevo d'occhio.
Passai in rassegna tutto ciò che avevo intorno, i mobili che non conoscevo, la mia roba poggiata alla rinfusa in poco spazio, mi guardai addosso la maglietta da letto sfatta ed un paio di pantaloncini che non erano miei. Una sacca a terra, due buste e qualche merendina sulle mensole. il computer.
"prendi tre cose che pensi possano servirti."
Di nuovo una panoramica della stanza, il panico dell'insetto. Cosa mi serve? come faccio a saperlo se non so DOVE vado?!
Automaticamente, come in una trance, mi spostai nella stanza ed infilai delle scarpe e la mia maglietta col teschio di Dalì. in silenzio e velocemente presi un coltellino, un accendino ed il telefono. ma lo rigirai nella mano più di una volta. lo guardai così, cover cinese colore a caso, schermo nero. lo rimisi dov'era. presi la sacca grande da terra. la misi a tracolla, aprii la cerniera davanti e ci infilai coltello ed accendino. pronto.
il luogo non è importante
quello attuale ha importanza? forse.
"tornerò?"
"dipende. non sta a me dirlo."
"ah"
Un'ultima veloce occhiata cadde sullo specchio. stavo benissimo. ero in forma nonostante tutto. non sentivo peso, non sentivo sonno, niente fame. nessuna mancanza, nessuna appartenenza.
"ok andiamo."
"seguimi"
Infilai me e la tracolla nella finestrella nel buio. Non un passaggio comodo, ed arrivato a poggiare l'addome non capivo dove sostenermi in avanti.
Guardai Edmond che avanzava, cioè il retro della sua testa rossa si allontanava. Non chiesi, mi lasciai cadere.
Ero improvvisamente dietro di lui, camminavo senza problemi e non avevo peso.
Edmond ora aveva un corpo, in un completo totalmente nero, ma pensa. Iniziavo a distinguere contorni, ma senza luce. o meglio, la luce era NEI contorni. in ogni forma. riflessi lontani pulsanti.
"devo chiederti una cosa se permetti."
"cosa"
"capisco accendino e coltello da campeggio, anche se la scelta mi fa ridere perchè non ci sarà mai nulla da aggiustare o costruire..ma la chitarra, perchè la chitarra?"
"vedi, hai detto conta che tu ci sia. la musica non poteva mancare con me. questo è un bagaglio di emozioni, di malinconia, di gioia. può far ridere, piangere, rilassare, pensare. e poi non ha bisogno di alimentazione, mi dà la possibilità di studiare sempre e scoprire e migliorare."
"ascoltati.sei già tornato."